Pubblichiamo di seguito la lettera che ci è stata invita da Luciano Luciani, presidente dell'Istituto Regionale Siciliano Fernando Santi, un'associazione nazionale senza scopo di lucro che svolge attività di assistenza e tutela a favore degli italiani all'estero e degli immigrati in Italia, nata nel 1999. Può essere definito un "tecnico della formazione" , lavora in questo campo da sempre e il suo nome è ben noto soprattutto tra gli addetti ai lavori.
Non le manda a dire Luciano Luciani, che più volte ha denunciato la gestione anomala della formazione, che lotta per la difesa dei diritti degli immigrati, degli stranieri, (poco tempo ha pubblicamente difeso il minitro Kyenge condannando duramente le parole del leghista Matteo Salvini che l'aveva offesa, ndr).
Nella sua lettera, Luciani parla di Formazione dunque, di enti "conniventi" e di quelli che hanno deciso di opporsi al malaffare, come il suo. Del Ciapi e del Ciapi di Buones Aires di cui vi abbiamo svelato i particolari la scorsa settimana nella nostra inchiesta proprio su questo ente fantasma che dalla Regione ha preso parecchi soldi per attività che ancora non sono chiare. Il Ciapi diretto da Carmelo Pintabona, l'uomo coinvolto nel caso Lavitola Berlusconi e arrestato nel 2012 a Palermo e su cui Luciani aveva già espresso il suo parere in tempi non sospetti. O già sospetti...
LA LETTERA- Con lo scandalo del CIAPI e di quanto è successivamente emerso sul piano delle "forzature", nel mondo della formazione professionale da parte di alcuni ambienti della politica, che hanno conseguentemente assunto connotazioni di carattere penale, e da quanto sta ulteriormente emergendo ed emergerà circa gli sperperi e l'utilizzo improprio dei fondi attribuiti al CIAPI di Buenos Aires, al centro di intrecci, intrighi e giravolte politiche, anche a causa di comportamenti sconsiderati da parte dei vincitori della politica siciliana, che consentono di salire sul carro del vincente a coloro che magari hanno combattuto sino al giorno precedente, è necessario che il Presidente della Regione e il suo Assessore si muovino con assoluta cautela e la massima accortezza, come del resto sono certo è loro intenzione.
C'è una storia della formazione professionale che può leggersi chiaramente attraverso i provvedimenti adottati, attraverso gli atti esitati, attraverso la gestione dei direttori e capi dipartimento dell'epoca, degli assessori pro tempore, attraverso la lettura di azioni in danno di enti che contrastavano il sistema e venivano boicottati per essere così poi spazzati dal sistema, mentre il loro monte ore veniva affidato ad altri enti più compiacenti, oppure attraverso l'anomalo ingigantirsi, per altre vie, di taluni enti che non può essere consentito per mano della volontà politica o della gestione amministrativa dei soggetti sopra richiamati.
Solo alcuni enti che si sono opposti al malaffare sono riusciti a sopravvivere, quale l'Istituto Regionale Siciliano Fernando Santi, da me rappresentato, e sino al 2010 la Fondazione CAS di Bagheria che è stata definanziata, ma che ha poi ottenuto diversi milioni euro di risarcimento attraverso provvedimenti adottati dalla magistratura.
Per cui qui evidenzio due importanti questioni da affrontare e risolvere:
A) La contrattazione tra le parti sociali e l'Amministrazione regionale deve essere riportata nel suo alveo naturale.
Da un canto l'Amministrazione regionale si deve confrontare con gli Enti gestori attraverso le loro forme organizzate di rappresentanza (ad esempio a Bologna il confronto avviene con Confindustria Emilia Romagna), perché l'istituzione regionale e gli enti datoriali sono i soggetti protagonisti del rapporto istituzionale che va a instaurarsi con i connessi rischi e responsabilità politiche ed economiche che ne conseguono, dall'altra è legittimo e necessario che le organizzazioni sindacali si confrontino distintamente con l'Ente Regione al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e i diritti spettanti ai lavoratori.
Anche qui si impone una significativa e strategica riflessione delle centrali sindacali regionali e soprattutto di quelle nazionali, considerata la dimensione del fenomeno e degli occupati in Sicilia che da sola supera quella complessiva delle restanti 19 Regioni italiane, stante che, quanto sin qui si è andato a realizzare, in un quadro di promiscuità di ruoli, ha ridotto la credibilità dei rappresentanti dei lavoratori che, in continuità di tale percorso, rischiano ancor di più.
B) La martellante e giusta questione della salvaguardia dei livelli occupazionali, così come viene posta nel quotidiano dibattere sembra voler alimentare il gioco della "mosca cieca", voluto o sostenuto strumentalmente anche da parte di taluni che perseguono altri fini, e cioè, per dirlo senza mezze parole, far saltare il sistema.
Pensare di mantenere i livelli occupazionali, in un sistema che impegna decine di migliaia di lavoratori, che hanno operato con modalità differenti da altre regioni per diversi lustri della loro vita professionale, dovrebbe significare, concretamente, assicurare di fatto un sistema di welfare in Sicilia per i lavoratori e per i giovani in cerca di occupazione e per coloro che operano in questo ambito e ne traggono vantaggio in un sistema di regole e di controlli, che espelli avventurieri e faccendieri, che non dovrebbe essere difficile da attuare.
Conseguentemente occorre prendere atto che la Legge 24/76 è una buona legge che va applicata e che assicura, anche con i provvedimenti successivi garanzie occupazionali ai lavoratori e gestionali agli enti datoriali.
L'azione politica e amministrativa perpetrata dalle precedenti Giunte di Governo, che sembrerebbe, sia pure in parte espressione del malaffare o che con questo connivevano o patteggiavano, negli ultimi anni ha definanziato fondamentali articoli della Legge 24, attentando non solo alla stabilità dei livelli occupazionali ma all'esistenza stessa degli enti di formazione, che in forza di tale legge "debbono" mantenere i livelli occupazionali e le strutture efficienti ed operanti anche nei periodi di inattività corsuale.
Ammesso che i lavoratori possano trovare altre tutele e garanzie, va da sé che gli Enti di formazione, associazioni senza fini di lucro, vulnerabili per la loro stessa natura giuridica, in mancanza di finanziamenti aggiuntivi, come previsto dalla Legge 24/76, non possono reggere finanziariamente, per cui uscendo dal sistema della formazione professionale e dal mercato del lavoro, il sistema ben presto imploderà, così come intendevano o intendono perseguire alcuni restanti "pupari", non ancora oggetto di provvedimenti giudiziari, per creare altri carrozzoni politici e clientelari.
Anche qui è facile individuarli, basta leggere i nomi e il contenuto dei disegni di legge presentati nelle ultime due legislature.
Luciano Luciani